Ex Borsisti

Ex Borsisti

  • Giuseppe Lonetto

    Giuseppe Lonetto è nato a Catanzaro (Cz) il 24 settembre 1985. Ha conseguito la laurea Specialistica in Biotecnologie Mediche nel settembre 2009 presso l’Università degli Studi di Firenze. Nell’aprile 2013 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in “Fisiopatologia Clinica e dell’Invecchiamento” presso la medesima Università, discutendo una tesi dal titolo “Notch Signaling Modulates Hypoxia-Induced Neuroendocrine Differentiation and Proliferation of Human Prostate Cancer Cells”. Nel giugno 2013 vince una borsa Post-Doc “Sergio Lombroso” presso il Weizmann Institute of Science.

     

    Progetto di Ricerca

    Giuseppe Lonetto svolge il suo progetto di ricerca nel Laboratorio della Prof.ssa Varda Rotter del Dipartimento di Biologia Molecolare, il cui principale interesse è lo studio della funzione dell’oncosoppressore p53. Giuseppe descrive così il suo progetto di ricerca: “La proteina p53 è classicamente definita come il guardiano del genoma. Una revisione in chiave moderna però, ne estende le sue funzioni ad una vera e propria barriera anti-cancro. Essa risulta essere mutata o inattiva in quasi la metà di tutte le neoplasie umane, e dati sperimentali indicano che in tale stato possa, inoltre, favorire la chemioresistenza. Una sua alterazione può diventare, pertanto, anche una barriera a livello terapeutico. Studi molto recenti inquadrano p53 come un regolatore centrale del differenziamento cellulare. Nelle cellule ben differenziate infatti, p53 esercita un ruolo di mantenimento di tale stato. In alcuni tumori invece, in un contesto di instabilità genomica, può accadere che mutazioni ne alterino il controllo inducendo un drammatico processo di de-differenziazione che può portare alla formazione di “cellule staminali tumorali”, responsabili del mantenimento e della metastatizzazione dei tumori. Diversamente, la scoperta molto recente di un protocollo in grado di de-differenziare in maniera controllata le cellule somatiche in vitro, ha avuto un enorme impatto nella comunità scientifica. Riprogrammare cellule somatiche differenziate in cellule con caratteristiche “staminali” (iPSC), infatti, non solo supera le questioni etiche connesse all’utilizzo degli embrioni, ma amplia anche enormemente il panorama delle possibilità terapeutiche. In questo contesto, sembra sempre più chiaro come p53 giochi un ruolo chiave nel determinare il destino delle iPSC. Diversamente dal modello classico di inattivazione delle proteine definite “oncosoppressori”, le forme mutate di p53 possono subire una profonda alterazione che le porta ad acquisire funzioni nuove ed inaspettate, non canoniche, che in via definitiva possono promuovere la carcinogenesi. Il laboratorio coordinato dalla Prof.ssa Rotter e’ da sempre impegnato nell’individuazione e caratterizzazioni di tali funzioni aberranti sia nel campo delle cellule staminali, che in quello dell’oncologia. In tal senso, attraverso il mio studio cerchero’ di caratterizzare nuovi meccanismi attraverso i quali p53 regola il processo di riprogrammazione analizzando il metabolismo cellulare, in particolare il rapporto fra questo e le forme mutate di p53. Valutero’ inoltre il processo di riprogrammazione in presenza di agenti tossici dannosi per il DNA, come le radiazioni ionizzanti ed il fumo di sigaretta (indice, quest’ultimo, di uno specifico stile di vita). In questo contesto cerchero’ dunque di determinare il ruolo di p53 nella regolazione della “qualità” delle iPSC in funzione del loro potenziale rigenerativo e del rischio di formare tumori una volta iniettate negli organismi. Quest’ultimo rischio risulta inaccettabile se si pensa al fine terapeutico di tale tecnologia.

  • Chiara Medaglia

    Chiara Medaglia è nata a Cosenza il 23 novembre 1985. Ha conseguito la laurea in Biotecnologie Mediche nel 2009 presso la facoltà di Scienze Biotecnologiche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, con una dissertazione dal titolo “Studio in vitro sul ruolo del miR34a nel Neuroblastoma”. Nel 2010 vince il dottorato di ricerca in “Produzione e Sanità degli Alimenti di Origine Animale” presso il Dipartimento di Scienze Zootecniche ed Ispezione degli Alimenti dell’Università Federico II di Napoli. Svolge la sua attività di ricerca presso il CEINGE (Centro di Ingegneria Genetica) – Biotecnologie Avanzate, studiando il ruolo del miR34a nel medulloblastoma. Nel 2011 si dedica ad un nuovo progetto di ricerca incentrato sullo studio dei processi infiammatori nel cancro alla mammella. Nel mese di ottobre 2012 vince una borsa “Sergio Lombroso”, come “Visiting Student” presso il Weizmann Institute, nel laboratorio del prof. Lapidot, afferente al dipartimento di Immunologia..

    Progetto di Ricerca

    Chiara Medaglia descrive così il suo progetto di ricerca: “ I tumori maligni devono la loro definizione alla capacità di formare metastasi, cioè di colonizzare distretti dell’organismo diversi dalla loro sede primaria. Nella maggior parte dei casi sono le metastasi a provocare la morte dell’individuo, non il tumore primitivo. Le cellule tumorali distaccatesi dal tumore primario necessitano di trovare un ”ambiente favorevole” nei tessuti in cui formeranno metastasi. Tale ambiente prende il nome di “nicchia metastatica”. Il sistema immunitario svolge un ruolo fondamentale nella creazione della nicchia tumorale e metastatica. Le cellule immunitarie, sintetizzano infatti fattori di crescita che stimolano la proliferazione, la disseminazione e successivamente l’attecchimento delle cellule tumorali. Numerose evidenze sperimentali identificano la proteina GSK3 β come fattore chiave nella regolazione della risposta immunitaria. GSK3 β interagisce con la proteina h-Prune, noto fattore prometastatico identificato per la prima volta dal gruppo di ricerca del Prof. Zollo, nonché marcatore di aggressività tumorale. L’espressione di h-Prune risulta essere incrementata nei tumori del colon e del pancreas ed è correlata all’invasività neoplastica. GSK3 β ed h-Prune insieme promuovono la migrazione delle cellule tumorali. Il progetto di ricerca è finalizzato ad approfondire il ruolo che queste due proteine svolgono all’interno della nicchia metastatica”.

  • Giuseppe Condomitti

    Giuseppe Condomitti, e’ nato a Vimercate (MB) il 20 maggio 1987. Il 5 ottobre 2011 ha conseguito la laurea magistrale in Biotecnologie Mediche e Medicina Molecolare presso l’Universita’ degli Studi di Milano con un progetto di ricerca riguardante lo studio dello sfingolipide Sfingosina 1-Fosfato nella sopravvivenza delle cellule staminali tumorali di Glioblastoma Multiforme Umano.

    Nel Novembre 2011 e’ stato ammesso alla scuola di dottorato in “Biotecnologie applicate alle Scienze Mediche” dell’Universita’ degli studi di Milano. Nel gennaio 2012 ha vinto la borsa di studio “Sergio Lombroso”, che gli permettera’ di svolgere l’attivita’ di ricerca come PhD visiting student presso il Weizmann Institute of Science, nel laboratorio del professor Anthony Futerman del dipartimento di Biochimica.

    Progetto di Ricerca

    Numerose evidenze sperimentali hanno dimostrato che gli sfingolipidi partecipano non solo alla definizione del doppio strato lipidico delle membrane cellulari, ma sono coinvolti nella regolazione di numerosi processi quali proliferazione, differenziamento, senescenza e morte cellulare. Si tratta quindi di “lipidi bioattivi” in grado di agire da molecole di trasduzione del segnale nel controllo del destino della cellula.

    In particolare, il ceramide, il quale rappresenta uno degli sfingolipidi piu’ importanti, è emerso come molecola differenziante, anti-proliferativa, pro-apoptotica e pro-autofagica. Questa molecola e’ sintetizzata a livello intracellulare nel Reticolo Endoplasmatico mediante l’azione di una famiglia di enzimi noti come Ceramide Sintasi.

    Nell’uomo sono state caratterizzate sei differenti isoforme di Ceramide Sintasi. Ciascuna di queste isoforme catalizza una reazione di N-acilazione, ovvero il legame di una specifica molecola di acido grasso attraverso la formazione di un legame amidico alla base sfingoide Sfinganina. Cio’ comporta la produzione di differenti pool di ceramide, ciascuno contenente una determinata molecola di acido grasso e avante una specifica funzione cellulare.

    Queste enzimi presentano inoltre una distribuzione tessuto-specifica.

    Recenti dati di letteratura hanno dimostrato un coinvolgimento di Ceramide Sintasi in numerosi processi patologici tra i quali il cancro.

    In particolare e’ stato osservato un coinvolgimento di questa famiglia di enzimi nella regolazione della sensibilita’ ai farmaci chemioterapici in differenti tipologie di cellule tumorali. In particolare nel tumore al seno e al polmone e’ stato riportato che una diminuita espressione di Ceramide Sintasi correla con una maggiore resistenza ai farmaci Doxorubicina e Cisplatino.

     

    Il progetto di ricerca si concentra sullo studio dei meccanismi molecolari che regolano l’espressione e l’attivita’ della famiglia enzimatica Ceramide Sintasi in condizioni fisiologiche.

    Successivamente sull’analisi di come possibili alterazioni di questi meccanismi regolatori possono essere coinvolti nella patologia tumorale.

  • Giulia Caglio

    Giulia Caglio, nata a Roma il 18 settembre del 1987, ha conseguito nel 2009 la laurea in Biotecnologie all’università la Sapienza di Roma con tesi riguardante la sintesi peptidica non ribosomiale. Nel 2009 ha cominciato il corso magistrale di Biotecnologie Genomiche. Nel 2011 ha vinto la borsa di studio Sergio Lombroso per svolgere la tesi di laurea presso il Weizmann Institute of Science ospitata dal team del Professor Tsvee Lapidot.

    Progetto di Ricerca

    Il progetto di ricerca, della durata di un anno presso il laboratorio del Professor Tsvee Lapidot, si focalizzerà sull’influenza del sistema nervoso sulla migrazione e lo sviluppo delle cellule staminali ematopoietiche. Lo studio si concentrerà sulla mobilitazione delle cellule staminali ematopoietiche. Questo fenomeno, anche se ancora non del tutto compreso, è alla base non solo delle moderne tecniche di trapianto di midollo, con la sua induzione, ma anche dell’equilibrio del sistema ematopoietico. Durante lo stato stazionario si è infatti potuta rilevare la presenza di cellule staminali ematopoietiche nel flusso sanguigno, in basse concentrazioni e, anche se non si conosce ancora la funzione, sembra essere un fenomeno di estrema importanza per l’omeostasi del sistema ematopoietico.

    In questo ambito si inserisce la ricerca riguardante la mobilitazione indotta dall’ormone Corticosterone, l’omologo in topo dell’umano Cortisolo. Questo ormone, conosciuto come ormone dello stress, fase in cui è presente all’interno dell’organismo in alte concentrazioni, è però anche rilasciato, a concentrazioni minori, in modo circadiano, dettato dai cicli di luce e buio, e si ipotizza possa essere coinvolto sia in una proliferazione provocata da stress, che nel mantenimento dell’equilibrio proliferazione-differenziamento dell’omeostasi ematopoietica.

    Studi in vivo e in vitro su topo avranno lo scopo di elucidare la funzione dell’ormone e il pathway su cui agisce, con una particolare attenzione al recettore cellulare Notch, implicato nella proliferazione cellulare, che sembra essere regolato in maniera dose dipendente dall’ormone Corticosterone, durante le diverse fasi della luce e del buio.

    Studi di questo tipo portano al miglioramento delle tecniche di mobilitazione delle cellule staminali per trapianti, concentrando queste terapie ad orari in cui, grazie alla conoscenza delle variazioni circadiane della responsività delle cellule staminali ematopoietiche, risulteranno ottimali .

  • Luca Moleri

    Luca Moleri è nato a Sesto San Giovanni (Mi) il 25 novembre 1987. Nell’aprile 2010 ha conseguito a pieni voti la laurea triennale in Fisica presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sul fenomeno del seeing atmosferico. E’ attualmente iscritto al corso di laurea magistrale in fisica presso la stessa università. Nel novembre 2011 ha vinto una borsa di studio “Sergio Lombroso” per recarsi presso il Weizmann Institute come visiting student, ospitato dal prof. Amos Breskin del Dipartimento di Fisica Particellare.

    Progetto di Ricerca

    Dato il notevole avanzamento dei metodi di terapia dei tumori, in particolare dei trattamenti di radioterapia, è ora di fondamentale importanza lo sviluppo di tecniche che permettano di riconoscere con sempre maggiore precisione l’insorgere di masse tumorali, anche di dimensioni molto piccole, prima che la loro presenza si manifesti a livello fisiologico.
    La guarigione del paziente è infatti più probabile se il tumore viene attaccato nei suoi stadi iniziali.
    In questo contesto, i rivelatori di fotoni e particelle basati su configurazione THGEM (Thick Gas Electron Multiplier) promettono di incrementare notevolmente la capacità diagnostica di tutte le strumentazioni ospedaliere basate su imaging (creazione di una immagine), come quelle comunemente utilizzate.
    I THGEM sono rivelatori a fase gassosa sviluppati nello scorso decennio al Weizmann Institute of Science.
    Passando in un volume riempito di gas, le particelle “strappano” degli elettroni dalle sue molecole. Questi primi eventi di ionizzazione sono tipicamente seguiti da una fase di amplificazione, ovvero: una cascata di ionizzazioni secondarie portano ad avere un segnale elettrico misurabile.
    Caratteristiche fondamentali dei THGEM sono la loro ottima risoluzione spaziale, cioè la capacità di distinguere oggetti molto piccoli, e la possibilità di produrre immagini più grandi di quelle attualmente ottenute (30cmx30cm contro i 10cmx10cm attuali). La semplicità, robustezza ed economicità dello strumento, lo rende inoltre producibile su larga scala.
    Uno dei problemi che rimangono irrisolti nello sviluppo dei THGEM è quello delle scariche elettriche che possono danneggiare irrimediabilmente lo strumento.
    Una soluzione promettente è quella che prevede l’impiego di materiali resistivi nella struttura di rivelazione e lettura del segnale.
    Il progetto proposto si concentrerà sullo studio di queste strutture resistive nei sistemi a configurazione THGEM. Esso coinvolgerà un ampio lavoro di laboratorio, accompagnato da accurate simulazioni ed analisi.

  • Ludovico Sepe

    Ludovico Sepe è nato a Roma il 1/1/1988. Dopo un semestre di lavoro in laboratorio all’Univeristà di Copenhagen ha ottenuto la laurea in Biotecnologie presso l’Università La Sapienza con il voto di 30/30 e lode con tesi dal titolo “Study of Translation Termination in Escherichia colimutant prfBE172K”.  Nel settembre 2010 si è iscritto al corso di laurea magistrale in Biotecnologie Genomiche e nel giugno 2011 ha vinto la borsa di studio Sergio Lombroso volta allo svolgimento della tesi sperimentale nel dipartimento di Genetica Molecolare, sotto la superviosione del Prof. Chaim Kahana

    Progetto di Ricerca

    Il fattore eucariotico di inizio di traduzione 5A (eIF5A) è una proteina altamente conservata tra le specie. In origine era stato identificato come fattore di inizio di traduzione, studi successivi hanno messo in discussione questo ruolo teorizzando una partecipazione nel trasporto nucleare della proteina Rev di HIV-1, nella degradazione mRNA, o nel controllo del ciclo cellulare. Questi potrebbero però essere ruoli secondari in quanto recenti osservazioni ne hanno rivelato un possibile coinvolgimento nell’elongazione traduzionale.

    eIF5A è l’unica proteina soggetta ad ipusinazione: una modificazione post-traduzionale che consiste nel trasferimento all’ε-amino gruppo di una lisina, di un gruppo aminobutilico proveniente dalla poliamina spermidina. La formazione di tale legame è catalizzata dagli enzimi deossiipusina sintasi (DHPS) e deossiipusina idrossilasi (DOHH) . Solo dopo l’ipusinazione eIF5A è capace di legare il ribosoma svolgendo la sua attività.

    Le poliamine sono piccole molecole policationiche indispensabili per la vita: legano il DNA stabilizzandone la struttura, legano la membrana cellulare e la poliamina spermidina serve da substrato per l’ipusinazione di eIF5A. L’enzima chiave per la sintesi della spermidina è l’ornitina decarbossilasi (ODC).

    Nei vertebrati esistono due geni che codificano per due isoforme di eIF5A: eIF5A-1 e eIF5A-2, che nell’uomo sono identiche per l’84%. L’mRNA per eIF5A-1 (1.3kb) codifica per una proteina di 18kDa ed è espresso in maniera costitutiva in tutti i tipi cellulari. L’mRNA per eIF5A-2 (0.7-5.6kb) codifica per una proteina di 20kDa ed è normalmente espresso in maniera tessuto specifica nel testicolo e in alcune cellule del cervello; nonostante ciò la proteina non viene tradotta. Tuttavia in diverse linee cellulari tumorali è possibile osservare alti livelli di trascritto eIF5A-2 e la traduzione della relativa proteina, pur non essendo questa generalmente associata a cellule tumorali. L’overespressione di eIF5A-2 è in oltre in grado di trasformare la linea cellulare stabile NIH3T3 e le cellule umane di fegato.

     

    Il progetto aiuterà a chiarire il rapporto tra eIF5A e livelli di poliamine (l’attività di eIF5A è direttamente proporzionale alla concentrazione intracellulare di poliamine?), inoltre sarà interessante osservare quanto eIF5A-1 e eIF5A2 influiscano sulla replicazione e se la loro overespressione in topi nudi sia in grado di dare luogo a un tumore. Ciò aiuterà a comprendere le differenze tra eIF5A-1 e eIF5A-2

  • Gabriele D’Uva

    Gabriele D’Uva è nato a Lecce il 28 giugno 1980. Ha conseguito la laurea in Biotecnologie presso l’Università di Bologna nel 2007 con una tesi in Biologia cellulare dal titolo “La perdita della funzione del gene Tp53 induce un profilo di espressione genica di tipo basale in cellule di carcinoma mammario” Attualmente e’ un dottorando in “Biotecnologie cellulari e moleculari” del Dipartimento di Farmacologia e Tossicologia dell’Università di Bologna. Finora la sua attivita’ di ricerca biomolecolare ha riguardato la correlazione tra cancro, infiammazione e vie di segnalazioni staminali ed e’ stata svolta in particolare presso il CRBA (Centro unificato di Ricerca Biomedica Applicata) del Policlinico Sant’Osola-Malpighi di Bologna. Nel gennaio 2010 ha vinto la Borsa di studio “Sergio Lombroso”, presso il Weizmann Institute, nel laboratorio del prof. Lapidot del Dipartimento di Immunologia.

    Progetto di Ricerca
    Gabriele D’Uva descrive così il suo progetto di ricerca: “Il progetto di ricerca riguardera’ la regolazione della mobilitazione delle cellule staminali emopoietiche in modelli funzionali preclinici in vivo. La mobilitazione delle cellule staminali emopoietiche è un importante procedura clinica, il cui scopo e’ aumentare le cellule staminali emopoietiche nella circolazione dei pazienti e dei donatori sani. Tali cellule vengono poi raccolte per le procedure di trapianto, al fine di curare i malati di cancro. Recenti dati ipotizzano che l’esistenza di “nicchie ipossiche”, ovvero a bassa concentrazione di ossigeno, nel contesto del tessuto emopoietico midollare rappresenti un fattore microambientale essenziale per il mantenimento del compartimento staminale ematopietico. HIF-1, o fattore di risposta all’ipossia, e’ un fattore di trascrizione attivato in risposta ai cambiamenti di ossigeno disponibile nel microambiente cellulare. Dato che alcuni fattori importanti nel processo di ematopoiesi sono bersagli ipotetici o dimostrati di tale fattore, lo studio sara’ rivolto proprio alla valutazione del ruolo del fattore di risposta ipossica HIF-1 nell’induzione di tale mobilitazione.”

  • Alessandra Tieri

    Alessandra Tieri è nata a Roma il 14 gennaio 1981. Nel 2007 ha conseguito la laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche con lode presso l’Università Sapienza di Roma con una tesi dal titolo “Nuove strategie sintetiche per la preparazione di colonne monolitiche polimeriche organiche ad elevate prestazioni: caratterizzazione chimico-fisica ed applicazioni pratiche”. Pochi mesi dopo il suo amore per la ricerca analitica le è valso un contratto biennale come graduate student reseracher presso il Laboratorio Antidoping accreditato WADA (World AntiDoping Agency) della Federazione Medico Sportiva Italiana. Nel 2008 ha iniziato il dottorato in Scienze Farmaceutiche, con un progetto di collaborazione fra la Sapienza ed il Laboratorio Antidoping nell’ambito dello studio delle interazioni tra farmaci e strutture supra-macromolecolari, sotto la supervisione del Prof. Francesco Botrè. Nell’ottobre 2010 ha vinto la borsa di studio “Sergio Lombroso”, che le permetterà di terminare ed ampliare la sua ricerca presso il Weizmann Institute of Sciences come visiting student nel laboratorio della Prof. ssa Michal Sharon.

    Progetto di Ricerca

    I proteasomi sono complessi enzimatici costituiti da diversi enzimi proteolitici, la cui funzione principale è la degradazione delle proteine. Essi svolgono un ruolo chiave nella regolazione di numerosi processi cellulari, quali: il controllo del ciclo cellulare mediante proteolisi di specifiche proteine regolatorie, la crescita e proliferazione cellulare attraverso la degradazione di oncoproteine e di proteine della via di trasduzione del segnale, la riparazione del DNA,  la regolazione della trascrizione, la regolazione della risposta immunitaria e infiammatoria, la processazione degli antigeni presentati in associazione con il complesso maggiore di istocompabilità di classe I (MHC I), la degradazione di proteine mutate o danneggiate (DRiPs). Poiché i proteasomi intervengono in processi di vitale importanza per la cellula, la loro inibizione porta alla morte cellulare e un loro mal funzionamento può essere alla base di numerosi eventi patologici. Inoltre, controllando la stabilità di proteine quali ad esempio cicline, chinasi ciclica-dipendente, tumor suppressor e fattore nucleare kB, essi costituiscono un nuovo target del trattamento antitumorale, poiché, alterando la stabilità o l’attività di queste proteine gli inibitori del proteasoma rendono sensibili le cellule tumorali all’apoptosi.
    La tecnica analitica più innovativa per studiare la struttura e gli aspetti molecolari del funzionamento del proteasoma è la spettrometria di massa accoppiata alla nano-cromatografia liquida ad elevate prestazioni (nanoUPLC-MS/MS). Si possono infatti ottenere informazioni sul meccanismo di assemblaggio del complesso proteina-proteasoma, le sue proprietà dinamiche, la composizione in subunità e le varie conformazioni che può assumere.
    Il progetto di ricerca in questione prevede la messa a punto di un nuovo metodo analitico che utilizzi al meglio le potenzialità di tale tecnica per lo studio della composizione dei diversi proteasomi presenti nelle cellule in base alle loro condizioni fisio-patologiche e per approfondire i loro meccanismi di interazione con le proteine.

  • Barbara Costa

    Barbara Costa e’ nata a Torino il 24 aprile 1978. Nel 2002 si e’ laureata in Biotecnologie Mediche presso la facolta’ di Biotecnologie di Torino con una tesi dal titolo “Identificazione di una forma tronca del recettore tirosina chinasico RON”. Nello stesso anno inizia il dottorato di Oncologia Umana, svolto presso il laboratorio di Genetica Oncologica dell’Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo sotto la supervisione della professoressa Di Renzo. Nel 2007 Barbara consegue il dottorato con la discussione della tesi dal titolo “FH suppression cooperates with MET activation to promote the transformed phenotype of primary cells”.  Dall’ottobre 2007 al settembre 2010 ha lavorato come post-doc recipiente della borsa Marie Curie presso il laboratorio del Professor Mike Fainzilber nel dipartimento di Chimica Biologica dell’Istituto Weizmann di Rehovot. Nell’ottobre 2010 ha vinto la borsa di studio “Sergio Lombroso” che le permettera’ di continuare ancora per un anno l’attivita’ di post-dottorato intrapresa presso il laboratorio del Professor Mike Fainzilber.

    Progetto di Ricerca

    Il neuroblastoma e il medulloblastoma costituiscono i due tipi piu’ frequenti di tumore solido presenti in eta’ infantile.
    Il neuroblastoma deriva da cellule del sistema nervoso simpatico e presenta un comportamento atipico. Mentre la maggioranza dei casi sviluppa un tumore aggressivo, per cui attualmente non esiste una cura adeguata, una frazione dei tumori e’ in grado di regredire spontaneamente. Studi clinici hanno messo in evidenza che i tumori con prognosi favorevole esprimono il recettore per il fattore di crescita dei nervi TrkA.
    Il medulloblastoma deriva da precursori neuronali del cervelletto e, in questo caso, e’ stato scoperto che il recettore TrkC e’ associato con una buona prognosi.
    Nel laboratorio del Professor Fainzilber recentemente e’ stato dimostrato che TrkA e’ in grado di “uccidere” le cellule tumorali di medulloblastoma e neuroblastoma tramite l’interazione con un’altra proteina chiamata CCM2. Il progetto di ricerca svolto tramite la borsa “Sergio Lombroso” riguardera’ lo studio del meccanismo attraverso cui TrkA e CCM2 iniziano un programma di morte cellulare in questi tumori infantili.

  • Alessia Vivanti

    Alessia Vivanti è nata a Roma il 13 agosto 1979. Ha conseguito la laurea in Scienze Biologiche (indirizzo Biomolecolare) nel maggio 2005 presso l’Università di Roma “La Sapienza”, con una tesi dal titolo “Che-1 attiva trascrizionalmente l’oncosoppressore p53 in seguito a danno genotossico”. Nel dicembre 2008 ha conseguito il dottorato di ricerca in “Fisiopatologia Sperimentale” presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, con una tesi dal titolo “TIMP-3 protegge dalla steatosi epatica indotta da obesità”. Nell’aprile 2009 ha vinto la borsa di studio “Sergio Lombroso” per svolgere un programma di post-dottorato presso il Weizmann Institute, ospitata dal prof. Avri Ben-Ze’ev del Dipartimento di Biologia Cellulare e Molecolare.

    Progetto di Ricerca
    Il cancro del colon-retto (CRC) è una delle forme piu’ comuni di cancro nel Mondo Occidentale. Nella maggior parte dei pazienti affetti da tale tumore sono state riscontrate mutazioni dei geni coinvolti nel pathway Wnt/ß-catenina, responsabili dell’espressione aberrante della ß-catenina. L’accumulo di tale proteina e il suo trasporto nucleare comporta l’attivazione di geni responsabili sia delle fasi precoci (es c-myc e ciclina D1) sia di quelle tardive dello sviluppo del CRC. Recentemente nel laboratorio del Prof. Ben Ze’ev, L1-CAM è stato identificato tra i geni indotti dalla ß-catenina. L1-CAM è un recettore cellulare di adesione, appartenente alla superfamiglia delle molecole di adesione di tipo immunoglobulinico (IgCAM). Nell’ambito di tale ricerca è stato dimostrato che L1-CAM è espressa esclusivamente sul fronte invasivo del CRC umano e nelle metastasi, suggerendo il coinvolgimento di tale molecola negli stadi avanzati della progressione tumorale. Gli studi attuali presso tale laboratorio sono volti all’identificazione dei meccanismi molecolari di attivazione e di azione di L1-CAM nel CRC.